venerdì 11 ottobre 2013

Coca Cola: un social media...reale.



Una trovata straordinaria quella di personalizzare bottigliette e lattine con nomi e "personaggi". 
Sì, tanto banale quanto geniale. 
Dove sta la genialità?

Ora pensate a me, che studio affannosamente marketing e comunicazione e non sono una consumatrice di Coca Cola, che vado al supermercato e vedo una lattina con scritto "Irene": chi è Irene? Un' amica che trangugia litri di Coca Cola e sorride, per cui mi viene automatico pensare di comprare quella lattina e regalargliela (poi non lo faccio, per questione di principio e orgoglio...ognuno ha le proprie fisse!). 
Oppure immaginatevi una cena tra amici ai cui rispettivi posti a tavola avete associato una bottiglia di Coca Cola con il loro nome o i loro soprannomi (sempre che abbiate amici da chiamare "il genio" o "il vip" ecc...).
Ancora, ipotizzate la situazione di due neo-sposini che dietro alla macchina nuziale attaccano lattine con scritto i propri nomi o "amore".
Sì, io lo trovo kitsch.
Sì, io lo trovo assurdo.
Ma sì, io lo trovo, dal punto di vista pubblicitario, assolutamente geniale.
Soprattutto in una società moderna in cui la ricerca e l'espressione della propria identità sono diventati obiettivi primari dell'esistenza umana. (G. Fabris, La pubblicità: teorie e prassi, Franco Angeli, Milano, 1992).

La campagna di Coca Cola "Condividi una Coca Cola con..." non si esaurisce nello spot pubblicitario, bensì con esso comincia e si attua utilizzando le stesse dinamiche di socializzazione adottate dai social media, con il privilegio di offrire un'opportunità concreta.
Sfruttando due elementi quali il nome proprio e la tecnica della condivisione, Coca Cola ha dato il via a un vero e proprio social media della realtà.
Il nostro nome è da sempre qualcosa che ci caratterizza e che segna i nostri confini, le nostre proprietà. Se c'è il nostro nome, possiamo rivendicare un certo possesso; dove c'è il nostro nome ci siamo noi. I nomi finiscono per diventare una parola che riassume una specifica personalità ed è per questo che talvolta in seguito a cambiamenti o sviluppi particolari della propria persona nasce il desiderio di compiere delle modifiche al nome originale, trovare soprannomi alternativi o nomi d arte. Tramite il nostro nome comunichiamo al mondo la nostra esistenza.
Il concetto di condivisione invece, ha un' origine più recente, se lo consideriamo nel contesto attuale in cui è diventato un must, una delle necessità essenziali per l'uomo (respirare, comunicare, condividere). Lungi da me soffermarmi troppo sull'evidenziare come gran parte di questo fenomeno sia stato causato dai social media, come questi abbiano cioè creato il bisogno di far sapere al mondo e pure istantaneamente i nostri pensieri, problemi,successi ecc...quasi a credere che se nessuno commenta o almeno legge i nostri post (siano essi testi, immagini o video), forse non abbiamo veramente vissuto quella situazione o addirittura non è valsa la pena viverla (una provocazione che auspico venga smentita!)...dicevo, lungi da me dedicare più di queste quattro righe all'argomento, sottolineando piuttosto quanto la strategia di marketing assunta da Coca Cola in questa direzione sia stata azzeccata, grazie soprattutto all'assoluta coerenza che la caratterizza.
Il marchio Coca Cola infatti ha sempre costruito sulla filosofia della condivisione le sue campagne pubblicitarie ed ora, con l'avvento dei social media, è riuscita a portare il proprio messaggio ad un livello successivo facendolo intersecare perfettamente con la realtà odierna e le relative pratiche di socializzazione, come affermato poco sopra.
Mi permetto di dire inoltre quanto questa scelta sia decisamente più consona, rispetto al precedente tentativo di portare in tavola Coca Cola durante i pasti con "La ricetta della felicità": incentivare gli italiani a bere Coca Cola a pranzo e a cena è stata una mossa azzardata e un rischio non indifferente di diventare preda delle furia di alcune madri, di alcuni salutisti e di alcune madri salutiste. 

(Ecco un esempio di guerrilla marketing a testimonianza che lo spot altro non è che un punto di partenza di un progetto più grande)



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